martedì 3 agosto 2010

La BiMW non basta? Arriva la TriMW! Dopo tante SUV ecco la prima GIUV.

Isaco Bertrand Tomateira Chu, l'ingegnere laureato in probabilità dei grandi numeri primi, cinese, ma di origini brasiliane i cui bisnonni erano dei veneti di origini cecoslovacche, i cui genitori sono fuggiti dal Brasile per il caldo ci spiega la sua meraviglia. Noi cinesi (per farla breve...) vogliamo dimostrare di saper fare di meglio che copiare allora abbiamo preso un modello noto e abbiamo mostrato quali migliorie siamo capaci di fare, la BiMW è in base due, e noi mostramo cosa siamo capaci di fare in base tre. Il nostro motore ha 9 cilindri diposti a V-linea cioè 6 a V e 3 in linea, dando una regolarità incredibile. Abbiamo pensato che al posto di dividere in due il portellone potevamo dividerlo in 3 ora grazie alla larghezza di 2,60 metri è possibile anche caricare armadi nel bagagliaio. Poi abbiamo pensato che 2 file di sedili erano un po' poche e allora ne abbiamo messe tre, la nostra auto ha 12 posti a sedere, così si possono portare anche gli zii che possono passare per le 6 porte e non c'è più la scusa che non ci sia posto. La lunghezza di 6,40 metri ci ha dato qualche problema... i prototipi si spezzavano a metà, specie quando caricavamo gli zii, abbiamo risolto aggiungendo altre 2 ruote e con le altre 4 sterzanti il veicolo puo quasi ruotare su se stesso, ma questa parte non ci piace gran che perché 2 e 4 non sono multipli di 3, ci consola il fatto che il numero totale di ruote lo sia.
Abbiamo all' ingegnere se non trova problematiche le grandi dimensioni della macchina, lui ci ha risposto:"le grandi dimensioni non sono un problema per chi ha veicoli di questo tipo, anzi, sono una soluzione. Un' auto così larga non è possibile parcheggiarla in garage e bisogna lasciarla in strada, ma dato che poi in strada poi non passa più nessuno ci si può sentire giustificati a mettere tre ruote sul marciapiede, l'acronimo GIUV significa Giant InUrban Veicle non a caso..."

venerdì 16 luglio 2010

IO, ROBOT. Uno sbaglio di digitazione di successo

In una mattina del 1940 il giovane scrittore Isaac Asimov stava cominciando scrivere Io, Ribot, una specie di autobiografia fantastica di un cavallo famoso con confidenze e segreti, i sacrifici per arrivare sempre primo, confessioni sulla maleducazione dei fantini e sulla pigrizia degli stallieri, ma mentre stava digitando il titolo sulla sua vecchia macchina da scrivere squillò il telefono e Asimov spostò inavvertitamente un dito dalla I alla O, ancora inesperto, Asimov scriveva guardando i tasti si accorse solo dopo aver finito la parola e un po' per taccagneria un po' perché l'editore non voleva sbianchettamenti, specie nel titolo, pensò di cambiare la storia.
Robot che buffa parola! Pensò mentre beveva un bicchiere di latte, andiamo un momento su Wikipedia a vedere cos'è un robot poi si diede una manata su quella testa piena di fantascienza pensò che forse era il caso di andare nella biblioteca pubblica a cercare sull'enciclopedia.
Armato di taccuino e matita in biblioteca scoprì che Karel Capek ,detto Ciapek dai più, uno scrittore ceco (nel senso di slovacco) aveva scritto quella buffa parola “robot” nel dramma R.U.R. - Rossum's Universal Robots – I Robot Universali di Rossum, più di venti anni prima.
Mentre tutto eccitato dalla bellissima trovata stava pensando ad andare a comprare l'e-book su Amazon per leggerlo con il suo Kindle si accorse di essere di nuovo caduto in un attacco di fantascienza e andò a cercare il numero di collocazione per farsi dare il testo da una carinissima bibliotecaria in carne ed ossa, tra l'altro senza spendere un soldo.
Dopo la lettura di R.U.R. Asimov cominciò a scrivere i nove racconti basati sulle “tre leggi della robotica” che regolano i rapporti tra umani e robot, di cui i robot a tutt'oggi si infischiano, diventati famosi con il titolo “Io, robot”.
Anni dopo mentre era in vacanza in Italia vide un bellissimo cavallo baio correre e vincere una gara con distacco, quando chiese come si chiamava gli dissero:”Ribot” e lui seppe che non era tutta fantascienza quella che gli passava in capo.